LA RIFORMA DEL LAVORO SPORTIVO

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La riforma del lavoro sportivo. Tra decreto e correttivo, settore sostanzialmente innovato

Ampia è la platea dei lavoratori e dei datori cui la riforma del lavoro sportivo (dlgs n. 36/2021, di riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo), in vigore dal 1° gennaio 2023, riconosce tutela previdenziale e assicurativa. Sono 750mila gli uni, 60mila gli altri.

Non sarà contemplata la figura dell’amatore se non riqualificato come “volontario”, all’interno della generica definizione di “prestazioni sportive dei volontari”, mentre esisteranno normativamente: lavoratori di società sportive professionistiche; lavoratori di società sportive dilettantistiche.

I compensi percepiti nell’area del dilettantismo non costituiranno base imponibile fino all’importo complessivo annuo di 15mila euro. Oltre questa soglia, il reddito sarà assoggettato a tassazione per la parte eccedente. Un indubbio vantaggio, in tale quadro, sarà svolgere l’attività di lavoro sportivo con partita Iva per i soggetti che accedano al c.d. “regime forfettario”: ai compensi percepiti verranno applicati il coefficiente di redditività previsto per l’attività, pari al 78%, e la soglia di esenzione sui primi 15mila euro di reddito. In tal modo, il carico fiscale sarà minimizzato. Sarà anche possibile portare in deduzione i contributi previdenziali versati nell’anno di imposta.

A norma del decreto di riforma – sulla vigenza del quale significative pressioni vorrebbero il differimento ed attendono, perciò, la Legge di bilancio per il 2023, la cui bozza bollinata è pubblicata da fine novembre – i tesserati potranno rientrare tra i lavoratori sportivi, purché svolgano mansioni necessarie per l’espletamento dell’attività sportiva. Vi potranno, cioè, rientrare figure come manager, addetti agli arbitri, osservatori e analisti dei dati.

La “ristrutturazione normativa” operata nel 2021 punta a qualificare i lavoratori sportivi come lavoratori autonomi, lavoratori subordinati o collaboratori coordinati e continuativi. Il rapporto di lavoro subordinato sarà preferito nelle società sportive professionistiche. Costituisce eccezione il caso del lavoratore sportivo non vincolato a frequentare sedute di allenamento. Altra eccezione è una prestazione contrattuale che non supera 8 ore a settimana o 5 giorni al mese, ovvero 30 giorni in un anno (in questa specifica ipotesi, si ricade nel lavoro autonomo).

Per il lavoratore sportivo in ambito dilettantistico, il Legislatore ha introdotto un criterio temporale: se la durata delle prestazioni non supera le 18 ore a settimana (escludendo il tempo dedicato alle manifestazioni sportive), il contratto può rientrare nel lavoro autonomo e nelle collaborazioni coordinate e continuative (dal monte ore va, però escluso il tempo dedicato alla partecipazione alle manifestazioni sportive). Inoltre, le prestazioni devono risultare coordinate in osservanza, sotto l’aspetto tecnico-sportivo, della Disciplina sportiva associata, dell’Ente di promozione sportiva competente o dei regolamenti delle Federazioni sportive nazionali.

Un aspetto di sicuro interesse sta nell’aver previsto la formazione degli atleti. E’ possibile concludere contratti di apprendistato per: la qualifica e il diploma professionale; il diploma di scuola secondaria superiore; il certificato di specializzazione tecnica superiore; l’alta formazione e ricerca. I contratti di apprendistato con giovani dai 15 anni di età agevoleranno la formazione e la cura dei c.d. “vivai”. A proposito di ciò, l’età minima (15 anni), in origine fissata a 18 anni, è stata abbassata dal correttivo al decreto 36/2021, per la sottoscrizione dei contratti di apprendistato professionalizzante stipulati dalle sole società sportive professionistiche.

Resta invariato il limite massimo di età, pari a 23 anni, già abbassato dalla Legge di bilancio per il 2022 rispetto a quello posto a 29 anni in via generale. La Relazione illustrativa precisa che tale ultima modifica è volta a facilitare l’accesso alle professioni di lavoro sportivo, adattando le caratteristiche dell’apprendistato alle specificità dello sport in cui le età di inizio e di cessazione differiscono rispetto a quelle della generalità dei lavori.

Con decorrenza 31 luglio 2023, i giovani atleti non dovranno rispondere al vincolo sportivo: il tesseramento per una squadra non sarà più automatico, a fine annata. Sarà volontariamente rinnovato. Per le società, che con questa pesante novità possono perdere i talenti “allevati”, la norma dispone che sia loro assegnato un premio di formazione tecnica al momento della firma del primo contratto di lavoro sportivo dell’atleta.

Alle società sportive dilettantistiche verrà consentito esercitare attività “diverse, secondarie e strumentali”, se previsto dallo Statuto e nei limiti quantitativi da individuare con decreto. Una specifica della norma: i proventi derivanti da rapporti di sponsorizzazione, promo pubblicitarie, cessione dei diritti e indennità legate alla formazione degli atleti, o dalla gestione di impianti e strutture sportive, non rientrano nei limiti massimi delle attività “diverse”.

Le realtà dilettantistiche (a condizione che non beneficino dell’agevolazione fiscale della “de-commercializzazione” dei corrispettivi come quote di abbonamento e rette, incassati da soci e tesserati, che non possono distribuire utili) potranno ripartire fino al 50% degli utili prodotti (in ogni caso entro il limite massimo dell’interesse dei buoni postali fruttiferi, aumentato di 2,5 punti rispetto al capitale effettivamente versato); all’80% per quelle che gestiscono impianti e piscine.

Il decreto legislativo 5 ottobre 2022, n. 163 (G.U. n. 256 del 2 novembre 2022), correttivo al decreto n. 36/2021, è uno dei pilastri su cui si fonda la più complessiva riforma dell’ordinamento sportivo. Esso: tende all’armonizzazione tra riforma dell’ordinamento sportivo e codice del Terzo settore; disciplina i cosiddetti lavoratori sportivi (art. 13); individua i soggetti che possono acquisire la qualifica di organizzazioni sportive, facendovi rientrare ogni tesserato che, verso un corrispettivo, svolge mansioni rientranti tra quelle necessarie per lo svolgimento di un’attività sportiva.

Con ordine. Circa l’esigenza di armonizzare riforma e codice, il correttivo prevede che gli enti del Terzo settore siano soggetti esclusivamente alle disposizioni sullo svolgimento dell’attività sportiva (che può non essere principale, se svolte anche altre attività di interesse generale) e, per gli altri aspetti, solo se compatibili con la disciplina del Terzo settore. Tali enti dovranno indicare nello statuto lo “svolgimento stabile dell’organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche, ivi comprese la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica”.

Con il correttivo, le organizzazioni sportive potranno avvalersi esclusivamente di:

– volontari, cui poter riconoscere un rimborso a piè di lista (i volontari degli enti del Terzo settore potranno eventualmente accedere al rimborso non forfettario in autocertificazione);

– lavoratori sportivi;

– collaboratori amministrativo-gestionali;

– lavoratori soggetti all’ordinaria disciplina.

I lavoratori sportivi sono soggetti ad una disciplina speciale. Nella qualifica di “lavoratore sportivo” rientrano esclusivamente “l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo (nonché) ogni tesserato, ai sensi dell’articolo 15, che svolge verso un corrispettivo le mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti dei singoli enti affilianti, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, con esclusione delle mansioni di carattere amministrativo-gestionale” (che non sono prestazioni di lavoro sportivo).

In questo nuovo contesto cade la possibilità che il lavoro sportivo sia svolto sotto forma di prestazione di lavoro occasionale.

Intanto, i lavoratori sportivi potranno essere qualificati – nella gran parte dei casi – come collaboratori coordinati e continuativi. Se l’impegno è inferiore alle diciotto ore settimanali cui sommare l’impegno per manifestazioni sportive, è prevista una presunzione di legge di tale natura. Per impegni superiori, viene consigliato di ricorrere alla certificazione del contratto.

Ad essi spettano la tutela Inail; la copertura previdenziale presso la gestione separata Inps, ma solo sul plafond superiore a 5.000 euro percepito (l’aliquota è del 25%, 24% se hanno una diversa tutela previdenziale, con riduzione del 50% fino al 2027 e con il consueto riparto di 2/3 a carico del committente, 1/3 a carico del collaboratore). Avranno accesso alle tutele Inps relative a malattia, maternità e disoccupazione. Verseranno, infine, l’IRPEF esclusivamente sull’importo che supera i 15.000 euro.

Le semplificazioni per i collaboratori coordinati e continuativi

Chi non percepisce più di 5.000 euro è esonerato dalla comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto e dalla comunicazione mensile all’Inps dei dati retributivi e delle informazioni utili al calcolo dei contributi. Non va emessa, poi, busta paga per chi non supera i 15.000 euro.

I lavoratori dipendenti?

Per questi è previsto un contratto a tempo determinato: al massimo cinque anni, eventualmente prorogabili. Per quanto concerne la tutela previdenziale, è previsto il versamento al Fondo Pensione Sportivi Professionisti (ex Enpals) gestito dall’Inps (33%, di cui il 9,19% a carico del dipendente, a cui si sommano le aliquote minori).

Infine, i collaboratori amministrativo-gestionali, come più sopra accennato, non sono qualificati come lavoratori sportivi ma hanno accesso alle medesime agevolazioni fiscali e previdenziali previste per le collaborazioni coordinate e continuative. Non sono lavoratori sportivi, perciò non opera nei loro riguardi la presunzione della natura di collaborazione coordinata e continuativa per cui sarebbe opportuno certificare i contratti. La presenza di indicatori di subordinazione gerarchica determinerebbe la conversione del rapporto in lavoro subordinato in questo caso a tempo indeterminato.

Due sono le disposizioni di salvaguardia introdotte:

  1. per i rapporti di lavoro sportivo iniziati prima dell’operatività del dlgs 36/2021 e inquadrati come compensi sportivi, non si dà luogo a recupero contributivo;
  2. istruttori, direttori tecnici e altre figure già iscritte al Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo possono optare, entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, per il mantenimento del regime previdenziale già in godimento.

Per ultimo, viene modificato l’elenco di chi – tra gli iscritti nel Registro delle attività sportive dilettantistiche – può assumere la qualifica di organizzazione sportiva: reintrodotte le cooperative sportive vengono, invece, eliminate le società di persone e vengono introdotti gli enti del Terzo settore. Si pone il problema della qualificazione come sportiva della organizzazione che si limita a promuovere attività didattiche sportive – come la ginnastica per la salute e per il fitness – così come dell’organizzazione che si limita alla preparazione degli atleti che partecipano alle manifestazioni agonistiche. Sono attese precisazioni che stabiliscano se a buona parte delle organizzazioni sportive di tale natura sarà preclusa la possibilità di qualificarsi come tali.

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Bonus in busta o fringe benefit – i vantaggi del datore e del lavoratore

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Bonus in busta o fringe benefit. Quale beneficio conviene al datore?

Una misura di vantaggio in deroga ad una parte dell’impianto dell’articolo 51, comma 3, del TUIR – stabilita dall’Aiuti bis (D.L. n. 115/2022, L. n. 142/2022) per il periodo d’imposta 2022 – è l’innalzamento del limite di esenzione da tassazione per beni e servizi forniti al dipendente dall’azienda. Non 258,23 euro, ma 600 euro.  Preme precisare che tale aumento sarà pari ad € 3000 a fronte del decreto aiuti quater in via di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.

Di più: nel nuovo limite rientrano le erogazioni liberali dei datori di lavoro a sostegno delle spese per utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale. Pertanto, la temporanea previsione si distingue non solo per il vincolo della tipologia di beni e servizi rispetto a quelli genericamente stabiliti dal TUIR (già citato art. 51, co. 3), ma anche per le modalità di riconoscimento al lavoratore, consentendo dazioni in denaro datore di lavoro/dipendente (purché coerenti con le finalità previste).

Attenzione, però, che la norma che ospita il beneficio alternativo (senz’altro più vantaggioso quest’anno rispetto ai passati), vale a dire l’articolo 12 del D.L. n. 115/2022, non deroga anche il meccanismo della franchigia, come chiarisce l’Agenzia delle Entrate nel documento di prassi n. 35 del 4 novembre 2022. In forma cristallina, pertanto, viene precisato che il superamento del limite di 3000 euro comporta – né più né meno come previsto dall’originario articolo 51, co. 3, TUIR – l’imponibilità per intero dell’importo, non della sola quota eccedente.

Quantificare il risparmio che ne deriva per il datore di lavoro si traduce nel fornirgli una concreta risposta all’appetibilità dei fringe benefits utilizzabili nell’anno in corso. Correlarlo all’importo aggiuntivo in busta paga gli offrirebbe la soluzione, anche gestionale, alla questione sul potenziale della novità.

Quanto, in definitiva, risparmierebbe il datore che, in alternativa al bonus in busta paga (con l’erogazione di un premio una tantum sul corpo del cedolino), decida di riconoscere un fringe benefit, di pari importo, rispettando il nuovo limite di esenzione?

Poniamo il caso di un lavoratore inquadrato al livello IV del settore commercio, la cui retribuzione mensile di base sia pari a  1.618,75 euro. Il suo datore di lavoro, volendo riconoscergli un emolumento aggiuntivo,  può:

  1. erogare al lavoratore un importo una tantum nel corpo del cedolino;
  2. optare per l’erogazione di fringe benefits che si mantengono, su base annua, sotto la soglia di esenzione.

Ebbene, nel caso a. l’importo erogato è imponibile tanto sotto l’aspetto fiscale quanto sotto quello contributivo. Viceversa, nel caso b. il datore di lavoro conseguirebbe un risparmio con il nuovo limite di non concorrenza reddituale, cui si somma il risparmio fiscale del datore di lavoro, conseguito in seguito alla piena deducibilità del costo di acquisto dei beni e servizi erogati. Il lavoratore si vedrà riconoscere un importo netto più alto nel caso b rispetto al caso a, in quanto non assoggettato neanche per il dipendente né a contribuzione né a imposizione fiscale.

Non può che contribuire al dato positivo l’ulteriore, specifico beneficio del poter cumulare i fringe benefits erogati nel 2022 con il bonus carburante, di importo fino a 200 euro.

Esempio:

Lavoratore inquadrato al livello IV  – CCNL Terziario   Retribuzione + premio stabilito    in 600,00 euro (imponibile)  Retribuzione + fringe benefit       pari   a 600,00 euro (non   imponibile   fino a quella cifra)
Retribuzione erogata 1.618,75+600,00 euro 1.618,75 + 600,00 euro
Contribuzione INPS 651,20 euro 475,10 euro
Totale costo azienda 2.869,95 euro 2693,85 euro
                                           Differenza:                      176,10 euro
Risparmio (%) 0% 6%
Al lavoratore In busta  € 450,00 In busta € 600,00

 

L’occasione la dà, quest’anno, l’aver  il nostro Legislatore considerato, nella più ampia disciplina fiscale dei redditi da lavoro dipendente, la particolare disciplina dei fringe benefits quale eccezione al principio generale di onnicomprensività della retribuzione. Perciò, se in generale i fringe benefits sono componenti della retribuzione oggetto di imposizione fiscale e contribuzione, in questa specifica situazione, l’esclusione dei fringe benefits dalla imponibilità deriva da misure strutturali.

Non è tutto. Rientrano, quest’anno, tra i fringe benefits i beni e i servizi ceduti al coniuge o ai familiari. I destinatari sono, dunque, il coniuge del lavoratore o i familiari indicati nell’articolo 12 del Tuir. Di più: non sono imponibili beni e servizi per i quali sia attribuito il diritto di ottenerli da terzi.

Inoltre la stessa Agenzia delle Entrate ha confermato la possibilità di erogare i fringe benefits ad personam.

Un passo indietro, fino alle utenze domestiche: tra i beni e i servizi da esentare, la citata circolare n. 35/E/2022 fa rientrare le utenze relative a immobili a uso abitativo posseduti o detenuti, sulla base di un titolo idoneo, dal dipendente, dal coniuge o dai suoi familiari, senza che rilevi che negli stessi abbiano o meno stabilito la residenza o il domicilio. Quindi, anche le utenze per uso domestico intestate al condominio (ad esempio, idriche o di riscaldamento) e quelle per le quali, pur essendo intestate al proprietario dell’immobile (locatore), nel contratto di locazione è prevista espressamente una forma di addebito analitico e non forfetario a carico del lavoratore (locatario) o del coniuge e familiari.

In tutti i casi, il benefit spetta solo per la parte effettivamente rimasta a carico del beneficiario e senza possibilità di fruirne due volte.

Per ultimo, i fringe benefits riguardano tanto i titolari di redditi di lavoro dipendente quanto quelli assimilati.

Atteso che la nuova disposizione è riferita al solo anno di imposta 2022, si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori corrisposti entro il 12 gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono (principio di cassa allargato), e le somme erogate dal datore di lavoro (nell’anno 2022 o entro il 12 gennaio 2023) possono riferirsi anche a fatture che saranno emesse nell’anno 2023, purché riguardino consumi effettuati nel corrente anno.

Si è qui detto, con supporto tabellare, della convenienza in termini di risparmio e dei vantaggi in termini di beni e servizi ricadenti nel beneficio. Non resta che rammentare che (a meno di proroghe) la straordinaria maggiorazione a 3.000,00 euro del limite cui vengono sottoposti i fringe benefits in relazione alla tassabilità, terminerà il 31.12.2022. Dall’anno venturo, si tornerà all’esenzione per importi erogati che non superino i 258,23 euro.

 

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Bonus 150 euro – Dichiarazione del lavoratore

Il Decreto Aiuti ter (D.L. 144/2022), come anticipato con l’informativa n. 23/22, ha previsto un bonus di € 150 che verrà erogato con la retribuzioni di competenza del mese di novembre 2022, ai lavoratori dipendenti che rispondono a determinati requisiti.

Anche in questo caso, come già avvenuto per il bonus dei 200 euro, per procedere con l’erogazione del bonus, il lavoratore dovrà produrre un’apposita dichiarazione, il cui fac simile, non vincolante,  è contenuto nel messaggio Inps n.  3806 del 20 ottobre 2022. (continua…)

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Il dipendente e la responsabilità extracontrattuale nei rapporti di lavoro

responsabilità extracontrattuale del lavoratore

 

L’illecito compiuto in ambito non contrattuale comporta una responsabilità extracontrattuale derivante da rapporti (anche di lavoro) tra soggetti non precedentemente legati da un vincolo obbligatorio. L’espressione è usata come sinonimo di responsabilità civile, in opposizione a quella contrattuale.

La specifica responsabilità extracontrattuale del lavoratore dev’essere, però, inquadrata nella verifica di violazioni da egli commesse che danno luogo ad una responsabilità, per l’appunto, non contrattuale.

In effetti, il lavoratore è soggetto alla responsabilità contrattuale, che discende dagli specifici obblighi assunti con la stipulazione del contratto di lavoro e che si realizza con l’inadempienza di tali obblighi, come pure può essere soggetto alla responsabilità extracontrattuale, che prescinde dalle statuizioni del contratto di lavoro e che discende da un illecito, penale o amministrativo.

Le due tipologie di responsabilità hanno ognuna il proprio fondamento legislativo. Norme differenti, dunque; in particolare, la responsabilità contrattuale fa riferimento agli artt. 2104 C.c. e seguenti, prevedendo che in capo al lavoratore sia posto il dovere di diligenza, l’obbligo di fedeltà e quello di lealtà; la responsabilità extracontrattuale ha, viceversa, quale riferimento primo l’art. 2043 C.c. – “Risarcimento per fatto illecito” – a norma del quale “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”. E’ non altro che il principio conosciuto nel diritto come “neminem laedere”.

Eccoci dunque alla distinzione, benché le due tipologie di responsabilità possano andare di pari passo quando il lavoratore dipendente, adempiendo alle attività lavorative, violi uno degli obblighi incombenti in qualità di lavoratore e, contestualmente, commetta un illecito.

Ad esempio, se nell’esercizio delle mansioni il lavoratore dipendente si appropriasse di somme di danaro affidategli dal datore si renderebbe, sì, responsabile di un illecito contrattuale – rappresentato dalla violazione del dovere di eseguire la prestazione lavorativa nell’osservanza delle regole di correttezza (ex art. 1175 C.c.) e di diligenza (ex art. 2104 C.c.) – epperò, il medesimo comportamento costituirebbe anche un illecito extracontrattuale per aver egli leso il diritto assoluto all’integrità del patrimonio, di cui è titolare il suo datore indipendentemente dal contratto di lavoro.

Un interrogativo opportuno a questo punto della disamina è se possa il datore di lavoro rivalersi sul lavoratore per il danno che ha subìto.

La Corte di Cassazione afferma di sì. Il datore di lavoro è legittimato ad agire in giudizio per il risarcimento del danno sia in via contrattuale, sia in via extracontrattuale. Le due azioni producono diverse logiche processuali, ad esempio in ordine al regime dell’onere probatorio, posto che per la prima tipologia di responsabilità – quella contrattuale – è sufficiente che il datore dimostri l’esigibilità del diritto al corretto adempimento, mentre per la seconda – quella extracontrattuale (o “aquiliana”) – sarà necessario provare anche il nesso di causalità tra il fatto e il danno.

È bene quindi tenere presente che, indipendentemente dalla fonte della specifica responsabilità (che, prima tra tutte, distingue le due tipologie), il datore di lavoro ha diritto ad ottenere il risarcimento quando il lavoratore provoca un danno al suo patrimonio.

Si inserisce in questo contesto la questione dell’addebito della responsabilità extracontrattuale, per il quale è necessaria l’imputabilità. Cioè a dire, il comportamento colpevole è da ricondurre al soggetto fornito di adeguata capacità di intendere e di volere.

Invero, sfogliando di poco oltre il Codice civile, l’art. 2046 recita: “non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d’intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa”.

Ne discende cosa? Che chi è incapace di autodeterminarsi consapevolmente non può essere sottoposto a sanzione penale (art. 85 C.p.), a responsabilità civile, né imputato per il risarcimento del danno arrecato a terzi.

A chi spetta allora, nella responsabilità extracontrattuale (o aquiliana), l’onere della prova? Ebbene, è chi agisce per ottenere il risarcimento a dover dimostrare non solo i fatti costitutivi della sua pretesa, ma anche il nesso di causalità (“onus probandi incumbit ei qui dicit”, principio giuridico tradizionale che si sostanzia nel porre a carico della parte che allega un fatto a sé favorevole, il dovere di darne prova dell’esistenza).
Ennesimo requisito della responsabilità aquiliana è la colpevolezza, configurabile in tale tipologia di responsabilità distinta negli elementi della colpa e del dolo. Genericamente, senza che l’art. 2043 C.c. definisca le condotte.

Concludendo, in via sinottica le distinzioni tra l’una e l’altra responsabilità, atteso (come fin qui dimostrato) che il lavoratore può incorrere anche in quella extracontrattuale, sono:

  • Responsabilità contrattuale

1. Capacità di obbligarsi, cioè di agire.
2. Onere della prova in capo al debitore (che nel rapporto di lavoro sarà il dipendente).
3. Danni risarcibili (in caso di dolo, solo quelli prevedibili nel tempo in cui è sorta l’obbligazione).
4. Prescrizione: termine ordinario di dieci anni.
  • Responsabilità extracontrattuale (aquiliana)

1. Capacità naturale, cioè di intendere e di volere.
2. Onere della prova in capo all’attore (colui che pretende il risarcimento, che nel rapporto di lavoro sarà il datore).
3. Danni risarcibili: tutti, quali conseguenza immediata e diretta della condotta dell’agente.
4. Prescrizione: termine di cinque anni.

 

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