La materia del lavoro sportivo è regolata dal decreto legislativo n. 36 del 28 febbraio 2021(GU n. 67/2021), che dà attuazione all’articolo 5 della legge n. 86/2019.
Talune previsioni (la più parte) saranno applicate dal 1° gennaio 2022, altre esattamente dall’anno seguente.
Il Titolo V è rubricato “Disposizioni in materia di lavoro sportivo”; su esso il contributo intende soffermarsi.
Prima dell’attuale intervento normativo, il settore è stato disciplinato dalla legge n. 91/1981 – “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” – cui si deve la qualificazione normativa della prestazione sportiva come “lavoro”.
A onor del vero, al decreto di quest’anno è ascrivibile una limitata portata innovativa, al punto che le poche novità introdotte dal legislatore delegato non incidono sulla natura speciale che già la legge originaria assegnava al settore rispetto alla disciplina di diritto comune del mondo del lavoro, rinvenibile negli articoli del Codice civile e nelle leggi sui rapporti di lavoro.
Chi è definibile lavoratore sportivo?
Secondo l’art. 25, c. 1, il lavoratore sportivo è l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che esercitano attività sportiva verso un corrispettivo, prescindendo dal settore (professionistico o dilettantistico).
Qui, ad esempio, sta uno degli aspetti innovativi più rilevanti che il decreto legislativo n. 36/2021 ha introdotto rispetto alla legge n. 91/81: questa regolava il rapporto di lavoro dello sportivo professionista qualificandolo tale quando svolgeva attività a titolo oneroso e in modo continuativo, nell’ambito di discipline intese come professionistiche dalle Federazioni Sportive Nazionali (F.S.N.). A fronte di tale definizione, venivano esclusi dall’applicazione del disposto l’amatore che sporadicamente svolgeva l’attività a titolo oneroso in una disciplina professionistica e ogni altra attività svolta nell’ambito di discipline sportive dilettantistiche.
Nel c. 2 dell’art. 25 si concentra la specifica secondo cui l’attività a titolo oneroso può essere svolta sulla base di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo (anche nella forma della collaborazione coordinata continuativa) o sulla base di una collaborazione occasionale (c. 4).
Il c. 3 verte sulla certificazione dei contratti di lavoro (legge n. 276/2003) con l’intento di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti stessi, attestandone la conformità alle norme. La disposizione effettua il rinvio agli accordi collettivi stipulati dalle Federazioni Sportive Nazionali, dalle discipline sportive associate e dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, sul piano nazionale, delle categorie di lavoratori sportivi interessate, per l’individuazione di indici delle fattispecie utili ai fini del procedimento di certificazione dei contratti di lavoro; in mancanza, saranno utilizzati indici individuati con apposito DPCM.
Il decreto fa comunque salva l’applicazione dell’art. 2, c. 1, del dlgs n. 81/2015, che vuole applicata la disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che si concretizzano unicamente in prestazioni di lavoro personali, continuative, le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente.
Da ultimo, il c. 5 stabilisce che, per quanto compatibili e per quanto non diversamente disciplinato dal decreto, si applicano le disposizioni sui rapporti di lavoro nell’impresa, incluse quelle di carattere previdenziale e tributario.
Contrattualmente, l’art. 26 del decreto fa spazio a regole generali sul rapporto di lavoro sportivo subordinato, senza effettuare distinguo tra settore professionistico e dilettantistico.
Ad esso non sono applicabili gli artt. 4, 5, 13, 18 dello Statuto dei lavoratori. Neppure le norme sui licenziamenti individuali di cui agli artt. 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8 della legge n. 604/1966 e 2, 4, 5 della legge n. 108/1990.
Infine, non è applicabile l’impianto del dlgs n. 23/2015 circa il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Dal che ricaviamo che continua a non applicarsi al lavoro subordinato sportivo la (pur ostica) normativa sui licenziamenti.
La sopravvenienza della legge del ‘90 alla legge sul lavoro sportivo dell’81, sembra abbia comportato l’estensione al lavoro sportivo della tutela reale prevista contro il licenziamento discriminatorio, al pari di tutti gli altri lavoratori subordinati, quindi anche la possibilità del reintegro sul posto di lavoro. Ma è un orientamento, non il frutto di pronunce. Una soluzione che, tuttavia, può non conciliarsi con l’espressa esclusione dell’applicazione al lavoro sportivo dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, riprodotta nel decreto legislativo n. 36/2021.
In definitiva, la specialità rinvenibile nel lavoro sportivo che ha determinato l’inapplicabilità delle norme in materia di licenziamento è plausibile debba valere per l’ipotesi del licenziamento discriminatorio, al quale può far seguito la sola richiesta di risarcimento dei danni (art. 8 della legge 604/1966).
D’altra parte, la soluzione opposta – della non estensibilità al lavoro sportivo della tutela contro il licenziamento discriminatorio – urterebbe contro la esplicita dichiarazione di non applicabilità dell’art. 18 e della tutela reale attraverso la reintegrazione nel posto di lavoro che esso assicura.
Passando oltre, il decreto del 2021 conferma l’inapplicabilità dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori in materia di sanzioni disciplinari, con riguardo a quelle irrogate dalle Federazioni Sportive Nazionali, dalle discipline sportive associate, dagli enti di promozione sportiva. Tale norma è applicabile solo alle sanzioni disposte dagli enti sportivi per violazione degli obblighi discendenti dal contratto di lavoro.
Il rapporto di lavoro tra la società (o associazione) sportiva e lo sportivo professionista può essere a termine, per un periodo non superiore a cinque anni, ma può essere rinnovato come anche ceduto prima della scadenza, se l’altra parte vi consente e con le modalità fissate dalle F.S.N.
Al contratto di lavoro sportivo subordinato non si applicano (art. 26, c. 2) le norme sul lavoro a tempo determinato (dlgs n. 81/2015).
Ancora: nel contratto (questa è una conferma delle prime norme in materia), non possono essere previste clausole di non concorrenza o limitative della libertà professionale dello sportivo.
Il lavoro sportivo può essere svolto in collaborazione coordinata e continuativa (art. 409, c.1, n. 3, del c.p.c.) ma è fatta salva l’applicazione dell’art. 2, c. 1, del decreto legislativo 81/2015, per cui se esso si concretizza in prestazione di lavoro prevalentemente personale, continuativo, con modalità di esecuzione organizzate dal solo committente, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
Dal 1° luglio 2022 sarà abrogato l’art. 2, c. 2, l. d), del decreto legislativo 81/2015, che non riconosce la sussistenza del lavoro subordinato alle collaborazioni rese ai fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle Federazioni Sportive Nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I.
In luogo, il c. 4 dell’art. 25 consente che l’attività di lavoro sportivo sia oggetto di prestazioni occasionali quando le stesse danno luogo, nel corso di un anno civile:
- a) per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, a compensi di importo non superiore a 5.000 euro;
- b) per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori, a compensi di importo non superiore a 5.000 euro;
- c) per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore, a compensi di importo non superiore a 2.500 euro.
Il rapporto di lavoro nel settore professionistico
Come la vecchia norma, relativamente all’attività prestata dall’atleta a titolo oneroso, anche la nuova individua in via generale la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato per il lavoro prestato dall’atleta come attività principale o prevalente, in modo continuativo, nei settori professionistici (art. 27, 2°comma).
Schematicamente, tre situazioni previste dal 3° comma dell’art. 27 configurano l’attività sportiva prestata dall’atleta come lavoro autonomo:
- quando l’attività richiesta si svolge nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o più manifestazioni ma tra loro collegate in un breve periodo di tempo;
- se il contratto non prevede vincoli circa la partecipazione a sedute di preparazione o allenamento;
- se la prestazione resa, pur avendo carattere continuativo, non superi complessivamente otto ore in una settimana o cinque giorni in un mese o trenta giorni in un anno.
Concludendo l’analisi delle novità dettate dall’attuale decreto, è bene soffermarsi sulla circostanza legislativa che il rapporto di lavoro nei settori professionistici si costituisce con assunzione diretta e stipula di un contratto che richiede la forma scritta, pena la nullità (art. 27, c.4), e dev’essere redatto secondo uno schema tipo predisposto dai soggetti chiamati alla stipula degli Accordi Collettivi delle categorie di lavoratori interessate, che non può essere derogato in pejus.
Roberto Nesti