Evoluzione normativa sulla responsabilità solidale del committente nei contratti di appalto
Nuovi obblighi in capo al committente a pena di sanzioni amministrative
La disciplina sulla responsabilità solidale del committente nei contratti di appalto è stata, negli anni, oggetto di numerose correzioni. Ad interventi restrittivi si sono alternati interventi estensivi in un balletto tutto teso a definire l’esatto perimetro della responsabilità dell’appaltatore per i trattamenti retributivi e contributivi dei lavoratori che prestano la loro opera.
Ultimo riferimento temporale di legge è il dl n. 25/2017, col quale le norme sono state modificate sotto il segno della negazione della possibilità, per i Ccnl sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore, di prevedere metodi e procedure alternativi di verifica della regolarità degli appalti in relazione alla previsione di una responsabilità del committente.
La prima riflessione che qui intendiamo offrire è che tale negazione ha di fatto impedito la deroga alla regola della responsabilità solidale ex art. 29 d. lgs. n. 276/2003, che consentiva alla norma contrattual-collettiva di escludere il regime generale della responsabilità solidale del committente, a fronte dell’individuazione da parte delle Parti Sociali di procedure di controllo per l’appunto alternative; deroga che, tuttavia, non è stata molto praticata.
Fatto sta che da marzo 2017 le norme di origine contrattuale limitanti od escludenti la responsabilità solidale del committente vanno considerate nulle per contrasto a norma di legge imperativa.
Una seconda riflessione sull’ultima norma regolatrice del contratto di appalto è che essa ha anche fatto cessare la possibilità, concessa fino ad allora al committente, di eccepire il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore. Vale a dire: prima dell’intervento di legge, il committente – che doveva convenire in giudizio assieme all’appaltatore – poteva eccepire il beneficio della preventiva escussione del patrimonio di quegli o dei subappaltatori (conseguentemente, i lavoratori o gli enti previdenziali ed assicurativi dovevano tentare di escutere prima di tutto il patrimonio dell’appaltatore/subappaltatore; se si rivelava pratica infruttuosa, il patrimonio del committente).
Oggi, è possibile rifarsi agendo in giudizio direttamente verso il committente, chiedendogli il pagamento di quanto loro dovuto dall’appaltatore (che in genere offre garanzie di solvibilità minori), ovvero i trattamenti retributivi (ivi comprese le quote di TFR), i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.
Va da sé che resta in capo al committente la possibilità, se ha corrisposto quanto dovuto in luogo dell’appaltatore, di agire secondo legge in via di regresso nei suoi riguardi.
In definitiva, torna in auge il principio che la legge Biagi (d. lgs. n. 276/2003) ha introdotto nel nostro ordinamento; principio per cui, in ipotesi di appalto di opere o di servizi, il committente è obbligato in solido con l’appaltatore (e con gli eventuali subappaltatori), entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi (anche le quote di TFR maturato), i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.
Ora, se la norma precisa che il committente risponde solidalmente dei predetti trattamenti spettanti ai lavoratori dell’appaltatore, da ciò deriva che dal perimetro della responsabilità dovrebbero restare escluse le voci non strettamente retributive (perché indennitarie e/o risarcitorie a vario titolo).
In questo più o meno chiaro quadro normativo inseriamo la norma in vigore dal 1° gennaio 2020: l’articolo 4 del dl n. 124/2019 (che ha introdotto il nuovo art. 17 bis nel corpo del D.Lgs. n. 241/1997), il quale dispone – su ritenute e compensazioni in appalti e subappalti e sull’estensione del reverse charge per il contrasto alla somministrazione illecita di manodopera – che i soggetti che affidano il compimento di opere o servizi di importo annuo pari a 200.000 euro ad un’impresa tramite contratto di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati (o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente impiego di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma) sono tenuti a richiedere all’impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici, obbligate a rilasciarle, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute, trattenute dall’impresa appaltatrice o affidataria e dalle imprese subappaltatrici ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio. Il versamento delle ritenute è effettuato dall’impresa appaltatrice o affidataria e dall’impresa subappaltatrice, con distinte deleghe per ciascun committente, senza possibilità di compensazione che opera con riguardo a tutti i contributi e i premi assicurativi maturati, nel corso della durata del contratto, sulle retribuzioni erogate.
Le deleghe di cui sopra, accompagnate da un elenco nominativo dei lavoratori direttamente impiegati nel mese precedente, identificati tramite cf – con il dettaglio delle ore di lavoro prestate in esecuzione dell’opera o del servizio affidato, l’ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione e il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti di tale lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente – dovranno essere trasmesse, entro cinque giorni lavorativi dalla scadenza del versamento, dall’impresa appaltatrice o affidataria e dalle imprese subappaltatrici, di modo che il committente abbia effettivo riscontro dell’ammontare complessivo degli importi da esse versati.
Se, maturato il diritto a ricevere corrispettivi dall’impresa (appaltatrice o affidataria), questa (o le imprese subappaltatrici) non ha adempiuto all’obbligo della trasmissione delle deleghe, ovvero risulta l’omesso od insufficiente versamento delle ritenute fiscali, il committente dovrà sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa, fino a concorrenza del 20 per cento del valore complessivo dell’opera o del servizio, ovvero per un importo pari all’ammontare delle ritenute non versate, finché perdura l’inadempimento. Di ciò dovrà dare comunicazione all’Agenzia delle Entrate entro novanta giorni.
Attenzione, però, che in questi casi all’impresa appaltatrice o affidataria è preclusa ogni azione esecutiva finalizzata al soddisfacimento del credito il cui pagamento sia stato sospeso, fino a quando non sia stato eseguito il versamento delle ritenute.
Non ottemperare alle previsioni di legge ora descritte comporta, per il committente, il pagamento di una somma corrispondente alla sanzione irrogata all’impresa, per violazione degli obblighi di corretta determinazione delle ritenute e di corretta esecuzione di esse, nonché di tempestivo versamento.
Purtuttavia, qualora le imprese appaltatrici o affidatarie o subappaltatrici comunichino al committente la sussistenza, nell’ultimo giorno del mese che precede quello della scadenza, di determinati requisiti, allegandone certificazione (messa a disposizione dalle Entrate, con validità quattro mesi dal rilascio), i sopra descritti obblighi non troveranno applicazione.
Si tratta, in sostanza, della presenza di tali requisiti dell’impresa: deve risultare in attività da almeno tre anni, essere in regola con gli obblighi dichiarativi ed aver eseguito nel corso dei periodi d’imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10 per cento dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime; non devono risultare iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all’IRAP, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori ad euro 50.000, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione, eccezion fatta per le somme oggetto di piani di rateazione per i quali non sia intervenuta decadenza.
Un cenno in questo contesto va, infine, fatto sull’intervento dell’INL con nota prot. n. 1037 del 25 novembre 2020, nella quale si specifica che nei casi di appalti “labour intensive” l’accertamento di violazioni circa il versamento delle ritenute fiscali sui percettori di redditi di lavoro dipendente e assimilati non è competenza dell’Ispettorato.
Viene lì richiamato proprio l’articolo 4 del dl n. 124/2019 per precisare che i nuovi obblighi da esso introdotti a carico dei committenti di appalti c.d. “labour intensive” rispondono alla necessità di contrastare il fenomeno dell’omesso o insufficiente versamento, anche mediante l’indebita compensazione, delle ritenute fiscali sui percettori di redditi di lavoro dipendente e assimilati attraverso la creazione di sistemi di controllo posti a carico del committente.
La loro violazione è sanzionata con una somma pecuniaria pari a quella irrogata all’impresa affidataria per la non corretta determinazione ed esecuzione delle ritenute, nonché per il tardivo versamento delle stesse; come precisato, senza possibilità di compensazione.
Il richiamo normativo su tale ultimo aspetto è alla circolare n. 1/E/2020, che ha precisato che “tale somma non è dovuta quando l’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice abbia correttamente assolto gli obblighi cui si fa riferimento, ovvero si sia avvalsa dell’istituto del ravvedimento operoso per sanare le violazioni commesse prima della contestazione da parte degli organi preposti al controllo”.
Da ciò proviene che l’illecito a carico del committente si realizza unicamente all’esito di tale ulteriore verifica negativa da parte dei soggetti preposti alla vigilanza fiscale.
Come conseguenza, gli obblighi di controllo del committente è da ritenere siano diretti esclusivamente a rendere effettivi gli adempimenti di natura fiscale posti a carico delle imprese affidatarie; ecco spiegato perché la loro violazione non può essere ascritta tra le violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale di competenza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Roberto Nesti